Arduino di Dadone, meglio conosciuto come Arduino d'Ivrea, fu marchese d'Ivrea dal 990 al 999 e poi re d'Italia dal 1002 al 1014.
La cultura e la storiografia romantica hanno reso popolare la figura di Arduino di Ivrea, vedendo in lui un esponente precoce della lotta per la liberazione dell'Italia dalle catene della dominazione straniera, attribuendo un significato simbolico alla sua nomina a re d'Italia.
Per contro, la Chiesa, memore delle sanguinarie scorribande di Arduino contro i vescovi di Ivrea e di Vercelli, aveva teso in passato a ridimensionarne la statura politica e militare, vedendo nelle sue gesta la mera brama di potere e la mancanza di rispetto per le prerogative ecclesiastiche. La figura di Arduino esce da tali opposte interpretazioni, quando la si inquadra nel contesto storico del X-XI secolo e delle acerrime lotte per il potere che coinvolsero l'intera struttura feudale ai tempi dell'impero romanico-germanico degli Ottoni.
Nel 955 circa, a Pombia nacque Arduino, figlio di Dadone conte di Pombia e di una figlia di Arduino il Glabro, conte di Torino. Sposò in una data non precisata Berta degli Obertenghi, probabilmente figlia di Oberto II.
Il marchese d'Ivrea Corrado Conone, non avendo discendenza, individuò in suo cugino Arduino il proprio successore e, col beneplacito dell'imperatore Ottone III, intorno al 989/990, Arduino fu eletto signore della Marca di Ivrea e nel 991 conte del Sacro Palazzo. La marca comprendeva i comitati di Ivrea, Vercelli, Novara, Vigevano, Pombia, Burgaria e la zona pavese della Lomellina.
Tra il 997 e il 999 Arduino ebbe forti contrasti con i vescovi di Ivrea e di Vercelli. Ai fini di limitare il potere dei marchesi e di impedire che il loro titolo diventasse dinastico, gli imperatori del Sacro Romano Impero avevano infatti da tempo imboccato la strada del conferimento di poteri comitali a vescovi da essi direttamente prescelti (lotta per le investiture).
Venuto a guerra aperta nel febbraio del 997 con il vescovo di Vercelli Pietro, il marchese assediò la città e infine entrò in Vercelli con i suoi vassalli minori, incendiando il Duomo e causando la morte del vescovo.
A Ivrea il vescovo Warmondo per due volte scomunicò Arduino; vi furono tumulti, saccheggi e uccisioni. Nel 999 il nuovo papa Silvestro II, appena salito al soglio pontificio per volere di Ottone III, convocò Arduino a Roma e lo scomunicò di fronte al Sinodo e allo stesso imperatore.
Tornato nella sua Marca, Arduino si strinse ai suoi vassalli, investì, probabilmente, il figlio Arduino II d'Ivrea della carica di marchese e cacciò dalle loro sedi i vescovi di Ivrea e Vercelli.
L'imperatore Ottone, con l'intercessione del pontefice che scomunicò i due marchesi, sollevò dall'incarico Arduino II, conferendo la reggenza della marca al cugino Olderico Manfredi, incaricato anche di sedare la ribellione anscarica (detta anche arduinica). Questa ulteriore scomunica non pose tuttavia fine alla lotta di Arduino.
Olderico non riuscì nel suo intento, anzi, la ribellione dei conti italiani si allargò al punto che l'imperatore dovette tornare in Italia per sedare la rivolta.
Arduino, sconfitto, si rifugiò in Borgogna presso Ottone I Guglielmo, figlio di Adalberto II[senza fonte].
Nel frattempo l'imperatore consegnò con diploma del 9 luglio 1000 la carica comitale di Ivrea al vescovo Warmondo ed alcune terre degli anscarici al vescovo Leone di Vercelli e al marchese Olderico Manfredi (Pavia, tolta ai marchesi Obertenghi, le Contee di Asti ed Acqui, tolte agli Aleramici).
Nel 1002, approfittando della morte di Ottone III, un nutrito gruppo di vassalli ostili al potere imperiale e contrari a Olderico Manfredi elesse Arduino re d'Italia nella basilica di San Michele Maggiore a Pavia.
Il clero, nella figura di Arnolfo arcivescovo di Milano, temendo nuovamente per il proprio potere, chiamò in Italia Enrico II, succeduto ad Ottone III, offrendogli la corona. Enrico in un primo tempo inviò truppe in Italia a capo del duca di Carinzia Ottone per far deporre ad Arduino lo scettro, ma visto che Arduino aveva ottenuto una serie di successi militari alle Chiuse dell'Adige in Valsugana contro le milizie dei vescovi e contro le truppe imperiali (1003), nel 1004 calò in Italia con un poderoso esercito. Dopo aver sconfitto Arduino alle chiuse della Valsugana, costringendolo a ripiegare nella sua Marca, l'imperatore gli tolse il titolo regale, facendosi a sua volta incoronare a Pavia re d'Italia nonostante le proteste violente della folla. I pavesi, che non tolleravano il dominio tedesco, si ribellarono e costrinsero l'imperatore a fuggire dalla città.
Per dieci anni, tra il 1004 ed il 1014, Arduino cercò di mantenere la corona d'Italia, ma la forte opposizione dei vescovi e di alcuni conti e marchesi fedeli all'imperatore non gli permise di portare a termine i propri piani. Egli cercò anche di contrastare il potere dell'arcivescovo Arnolfo, caldeggiando la nomina all'episcopato di Asti del fratello di Olderico, Alrico. Nel 1007, attaccato nelle sue terre, Arduino resistette all'assedio delle milizie imperiali, rifugiandosi nella roccaforte di Sparone, nell'Alto Canavese.
Nel 1014 Enrico II, sceso nuovamente in Italia, fu solennemente proclamato imperatore a Roma da papa Benedetto VIII e riuscì a domare le resistenze dei nobili romani suoi avversari (ed alleati di Arduino). Tornato in Germania Enrico II, Arduino riprese le armi e si mosse alla conquista di Vercelli, Novara e Pavia, ma la forte opposizione del marchese Bonifacio di Toscana e dell'arcivescovo di Milano Arnolfo, unita ad una grave infermità sopraggiunta, lo costrinsero a deporre le insegne reali ed a negoziare i possedimenti della contea di Pombia per i suoi eredi.
Si ritirò nell'abbazia di Fruttuaria a San Benigno Canavese, costruita nei primi anni dell'XI secolo da Guglielmo da Volpiano, alla quale era molto legato avendone appoggiato l'edificazione con un diploma del gennaio 1005. Il 14 ottobre 1014
Arduino morì nell'abbazia di Fruttuaria e fu tumulato nell'altare maggiore della chiesa abbaziale, ove per secoli fu venerato da monaci e pellegrini.
Sulle spoglie di re Arduino si è tramandata - veri o falsi che siano i particolari - la seguente storia (raccontata anche dallo scrittore Giuseppe Giacosa).
Verso la seconda metà del XVII secolo, il cardinale Ferrero, abate di Fruttuaria, considerava indegno il fatto che le ossa di Arduino, scomunicato in vita dal vescovo d'Ivrea, fossero conservate come preziose reliquie sotto l'altare maggiore dell'abbazia e venisse loro tributato un vero e proprio culto, come se fosse un santo. Decise dunque di violare il sepolcro e di seppellire in terra sconsacrata le ossa che si erano conservate. Ma un pio frate si incaricò di spiare l'abate, di segnare il luogo della sepoltura e di avvisare dell'accaduto il conte Filippo di Agliè, che vantava un'antica discendenza da re Arduino. Quest'ultimo fece allora esumare nuovamente le nobili spoglie ordinando di trasportarle nel suo castello di Agliè ove rimasero sino al 1764. In quell'anno il castello passò ai Savoia, ai quali nulla importava delle spoglie di Arduino. Ma la sorte dispose che la marchesa Cristina di Saluzzo Miolans, moglie del marchese Giuseppe di San Martino, ex proprietario del castello, fosse anche amante riamata del conte Francesco Valperga di Masino.
Racconta il Giacosa che:
« ...Al conte di Masino coceva il pensiero di quelle poche ceneri, già tolte alla sacra volta e ai canti della chiesa, già rapite alla ferace terra di Fruttuaria, mal guardate e cadute ora... a tale padrone, cui non le consacrava nessun vincolo di sangue, nessuna ragione né di nome né di memorie. Però le sue alte cariche non gli permettevano aperta dimostrazione, né la remotissima agnazione potevagli attribuire il diritto di rivendicare le spoglie mortali del grande antenato. Chiudeva nell'animo la pietosa ira, alla quale era conforto l'amore della marchesa e il sapernela partecipe. Ma la pietà femminile è industre e temeraria... »
Cristina, per amore di Francesco e per dispetto verso i Savoia, fece in modo di introdursi nel Castello Ducale di Agliè, trafugare la cassetta con i resti di Arduino e trasportarla al Castello di Masino, presso i suoi "legittimi" discendenti. Nella cappella di questo castello (ora di proprietà del F.A.I.) le spoglie mortali di re Arduino riposano finalmente in pace ancora oggi.
La storia si inserisce con evidenza nelle strategie di nobilitazione dinastica perseguite con frequenza nel passato e testimonia la grande popolarità di cui ha continuato a godere in Canavese la figura di re Arduino, sospesa tra storia e leggenda.